LA PROFESSIONE ATTRAVERSO LA SCUOLA

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Incontro con tre ex studenti della Scuola Romana di Fotografia e Cinema

BLACK GOLD HOTEL di Michele Palazzi
AMORE MIO DI PROVINCIA di Veronica Daltri
IL MIO LAVORO È L’ELEMOSINA di Luigi Cecconi

Martedì 23 Aprile 2013, ore 17:45
Scuola Romana di Fotografia e Cinema
Via Giosuè Borsi, 18 – Roma
Ingresso libero su prenotazione

 

Nel corso della serata verranno presentati gli ultimi lavori dei tre professionisti, già vincitori di numerosi premi.
Seguirà dibattito sul loro lavoro e le loro esperienze.
Moderano il dibattito Massimo Mastrorillo e Nazario Dal Poz

 

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Michele Palazzi (1984). Dopo aver conseguito il master triennale presso la Scuola Romana di Fotografia ha iniziato a lavorare come fotografo. Nel 2009 riceve il premio Enzo Baldoni per il progetto 3,32 AM sul terremoto in Abruzzo. Dal 2010 al 2011 ha lavorato sul progetto Migrant Workers Journey vincitore del premio Project Launch Award del Center Santa Fe, esposto nel New Mexico Museum of Art e proiettato a Visa Pour l’image 2012 a Perpignan. Nel 2013 riceve il primo premio all’Evironmental Photographer of the Year. Dal 2012 lavora ad un progetto a lungo termine sull’impatto della modernizzazione nei paesi in via di sviluppo in Asia. Vive a Roma.

“Black Gold Hotel” – In Mongolia lo sviluppo economico sta travolgendo le popolazioni nomadi del deserto, modificando paesaggio e tradizioni millenarie. Miniere di oro, carbone e rame richiamano compagnie straniere che intervengono sul territorio senza un piano regolatore a tutela della popolazione, della fauna e del paesaggio. Nuove strade interrompono gli spostamenti quotidiani degli animali selvatici e dei pascoli. La polvere si alza al passaggio dei camion che partono dalle miniere e ricopre la vegetazione circostante, impedendo al bestiame di nutrirsi. Ai nomadi non resta che abbandonare il deserto e rimontare le tende per l’ultima volta ai confini delle città che accolgono continuamente nuova forza lavoro, offrendo una retribuzione minima e una condizione di povertà urbana, intellettuale e sociale. È una zona di confine non definita tra tradizioni lunghe secoli contaminate da una modernità ancora molto lontana dal progresso. La cultura del modello occidentale di massa riempie questo vuoto iniziando la popolazione al consumo e all’intrattenimento della televisione, dei videogiochi e dell’alcol. Il mondo in cui è nata la civiltà mongola non esiste più, e tutto è accaduto nella totale assenza di un dibattito interno e di una tutela identitaria. Questo mutamento profondo, tutt’altro che lineare, è inarrestabile. “…tutto andrà avanti, il progresso, proprio come si finirà di riconoscere in seguito, è inevitabile, fatale, come la morte.” Caino – Josè Saramago

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Veronica Daltri (1985). Dopo la laurea a seguito della vincita di due borse di studio del San Lorenzo FotoFestival, frequenta i corsi, si diploma nel 2011. Nel 2010 vince il premio “Grow Up” al Foiano Fotografia. Il progetto “Amore mio di provincia” viene pubblicato per la prima volta dalla rivista italiana Rearviewmirror nel giugno 2011. Nello stesso anno entra a fare parte dell’agenzia Luz di Milano nella sezione giovanile “Avantguarde”. La sua ricerca fotografica si concentra nella possibilità di raccontare fatti e momenti contemporanei attraverso il quotidiano combinando il linguaggio reportagistico a un linguaggio basato su impressioni ed emozioni.

“Amore mio di provincia” – Questo progetto focalizza la sua attenzione sulla provincia italiana come una categoria del sentire. Non c’è interesse infatti nel creare una riconducibilità alla specificità fisica del territorio; quello che si vuole trasmettere è la sensazione della provincia e del vivere in provincia. Una sensazione che ho capito, man mano che portavo avanti il progetto, essere uguale a Marsala come a Ivrea, a Barletta come a Udine. Questa sensazione porta a una sorta di collasso delle 110 province italiane in una grande e unica provincia, ovvero l’Italia stessa. Durante il mio viaggiare in tutta la penisola, mi sono mossa orientata verso la quotidianità della vita delle persone; non ho fatto altro che uscire con la macchina fotografica al collo, camminando per quella che potrebbe essere la città che ognuno di noi attraversa ogni giorno. Sono andata verso situazioni comuni: amiche che chiacchierano su un prato, bagnanti sulla spiaggia e sabati sera in discoteca. Il lavoro è stato eseguito in diapositiva, con il tiraggio della pellicola. In tale modo si ottengono tonalità del colore affini a quelle delle pellicole usate negli anni ’80 dalla maggior parte delle famiglie italiane per immortalare la vita quotidiana. Questa scelta è stata dettata dalla considerazione che, a volte, in provincia il tempo sembra essersi fermato davvero e in tal modo nelle immagini è come se fosse così realmente. La provincia diventa un pretesto per raccontare il mio percorso nell’Italia di oggi.

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Luigi Cecconi (1979). Dopo il diploma tecnico ha frequentato il Master triennale presso la Scuola Romana di Fotografia dal 2008 al 2011. Molti i rinoscimenti ottenuti e le iniziative personali di successo. Nel 2012 fonda 001 insieme ad altri sei colleghi ed amici. ARPS Royal Photographic Society. Selezionato per la fotografia al Festival Internazionale di Roma. 2°classificato The London School of Liberal Arts Stories for our Time Competition.

“Il mio lavoro è l’elemosina” – Uno spicchio di mela, un supplì sbocconcellato, vecchie foto di un’infanzia sideralmente lontana, un guanto di lana, una manciata di sigarette, un ombrello, una cartina geografica, un santino di Madre Teresa di Calcutta, un coltello, una pipa, una radiolina, una busta di plastica. Sono questi i tesori delle donne e degli uomini che ho fotografato a Roma, scovandoli, avvicinandoli, conoscendoli e facendomi conoscere. Sotto i ponti del Tevere, nelle stazioni abbandonate, negli anfratti della metropoli, acciambellati nelle panchine dei parchi, accoccolati sui marciapiedi. Donne e uomini che la vita – quella dura dell’imprevisto dello scacco – ha sospinto via via sempre più ai margini.

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